René Capovin

Note di un (mezzo) antropologo veneto in Francia

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Milani

Ieri, partito da Milano 16 ore prima, prendo l'ultimo autobus, dal centro di Salon a casa passando per il cuore delle Canourgues, il mio nuovo quartiere, un quartiere capolinea. C'era mercato in centro, autobus strapieno, una con un neonato nella carrozzina resta giù. Saremo una cinquantina, queste le formazioni: 40 arabe-i più altri 10, 10 donne con foulard vari, uno spettacolo, 10 ragazzini-e, 35 donne, un solo vecchio, nessuno sopra l'1.80 a parte me.

Prima, all'ultima stazione del viaggio in treno, a Miramas, vado al bar, leggo una serie di fogli in cui il gestore ricorda che offrire un bicchiere d'acqua non è un obbligo (cartello a fianco: caffé più acqua, 1.40). L'orco ha la faccia metà marsigliese metà araba (cioè tutta marsigliese), ha i baffi, gli faccio ma è successo qualcosa che vedo 'sta storia dell'acqua, no no, ha letto là?, è la legge, c'est tout, ma come è la legge gli dico, la legge dice che non sei obbligato a offrire l'acqua non che la devi far pagare, perché la fa pagare? Ah beh chiaro che non è un obbligo farla pagare (questo è deficiente, pensa), ma la legge dice che posso farla pagare, ah beh d'accordo lo so anch'io (questo è deficiente, penso), poi vedo che si innervosice, continua a dire c'est la loi c'est tout, bevo il caffé, il migliore caffé bevuto in Francia, saluto e mi saluta (piano). Da dire che in Francia non solo il bicchiere al banco (raro che i francesi bevano al banco, infatti lui aspettava che mi sedessi), ma pure la caraffa d'acqua quando ci si siede e si beve o mangia è, di solito, gratis. Anche quel bar della stazione, come gli altri bar della stazione francesi che ho visto, mi è parso non avere un giro di clienti fissi, che invece in Italia (almeno: a Schio, Tortona e Cascina Gobba) sono una costante.

A Schio il fatto che adesso i camerieri siano due bengalesi gentili e simpatici non toglie che resti ormai uno dei pochi posti da peggiori. Ci sono i bar per la crema, e ci sono i bar per i peggiori (davanti alla caserma hanno fatto un ristorante improbabile, dalla Maria onta un baretto fighetto... In una pioggia di macchiatoni e spremutine cascano i bastioni della bassa civiltà. Na sambuca, un bianco do bianchi tre bianchi, e do bire, un café coreto vechia e uno coreto graspa, na ceres, na media e un nero, e via così, ma quest'estate ho sentito una compagnia teatrale che riusciva a rendere meglio l'atmosfera, la logica era sempre quella dell'elenco di alcolici ma incrociato con un elenco di bestemmie, ecco così il quadro è davvero completo, comunque sulla bestemmia, grande assente della cultura popolare francese, un'altra volta). Alla stazione regnava il padrone, un terrone che cercava di parlare dialetto, grasso, vaghe somiglianze con l'orco di Miramas, per esempio i baffi. Ogni tanto c'è ancora. In tuta da meccanico c'era spesso quello che ci aveva venduto una cinquecento grigia rivelatasi un bidone, si sarà giocato i nostri soldi lì. Poi c'era il tecnico di laboratorio del mio liceo, qualche rara volta il fratello del mio professore di filosofia (a sua volta professore, di italiano), in zona c'era anche il tassista e poi, immancabili, alcuni Signori (perché dove ci sono i peggiori, ci sono sempre anche dei Signori, che a guardarli per come si muovono e si vestono non c'entrano nulla con l'ambiente e invece ne sono una parte insostituibile perché non c'è Arlecchino senza uno che sia, o si creda, il padrone, Schio poi ha un suo specifico Signore cittadino, el Principe, spacciatore di gran classe). Adesso al bar ci vanno varie anime perse e un giro di slavi impegnativo (mentre i marocchini hanno fatto secessione, li vedo e ne saluto qualcuno al Bounty, ecco, giustamente, si sono ammutinati al Bounty).

Alla stazione di Tortona sono entrato una domenica mattina alle 9 di un anno fa, camerieri un giovane e due tipe notevoli, avventori varie decine di indigeni. Battute, Vecchie Romagne, caffé, calcio, giornali già spiegazzati. Ero entrato a casa loro senza bussare.

Alla stazione della metro di Cascina Gobba ci sono stato un'altra domenica mattina, un quattro anni fa, là dominavano terroni e bottigliette di brandy o roba del genere, non ho dovuto entrare perché il bar dà direttamente sull'androne coperto della stazione, è un bar pubblico e in questo senso è il bar della stazione perfetto perché non ha muri e in linea di principio finisce dove finisce il paese o il quartiere. Pensavo che le bottigliette non ci fossero più, quelle un po' più grandi si vedono nei western ma quelle là, piccolissime, erano rimaste negli stadi di quando ero bambino (il caffé Borghetti per esempio), poi con il fatto che allo stadio è proibito bere alcolici, che le bottigliette sono pericolose perché la gente le lancia (dicono, ma le uniche due partite non giocate per lancio di oggetti sono state per una monetina, ma il portiere fece scena, e un petardo, io non ho mai assistito a partite bloccate da un cognac), o magari per il fatto che allo stadio non ci vado più, insomma per me le bottigliette erano morte. Le ho viste vive e velocissime in quel posto molto fuori Milano, dove dev'essere nel frattempo traslocata, cambiando anche significato, la Milano da bere.

A proposito di Milano, l'altro ieri sbaglio fermata del tram e invece di scendere a Porta Ticinese per andare al museo diocesano, continuo, direzione Gratosoglio. I conti non mi tornano, domando informazioni ma prima di trovare una che non parlasse slavo (ho beccato tre ucraine tutte appena arrivate mi sa), passa un po' di tempo. Trovo una tipa che mi risponde o signùr, de musei qua ghe nè minga, vado dall'autista, Napoli o dintorni, Diocesano o Diocleziano? Vabbé, sta a Porta Ticinese, prendi quel tram là, quellollà, scendo, mi guardo intorno, spesso il male di vivere ho incontrato, monto e vado a sedermi in fondo, dove regna quello che dev'essere il ras di Gratosoglio. Un sedici anni, massiccio, spilla da balia nel sopracciglio, più un tossico e due tipe in adorazione. Mi guarda. Dà fastidio se fumo? Beh, sì. Ah d'accordo, e fa per accendere. Ma non lo fa: hai l'asma? No, è che poi i vestiti sanno odore, ed è proibito. Ah beh d'accordo (e rifà per accendere). Ma ancora si ferma: vedi che sono bravo? Eh, bravo. Ma tu cosa fai? Secondo te? Mah, l'avvocato. No. Il dottore. No. Boh, il muratore. No. Allora tutte queste cose insieme (le due ragazze: miii che stooria, non ci sta con la testa). No dai, cosa fai? Lavoro per un museo. Ah, ce l'hai la faccia da uno che mette le cose, e mima il gesto di uno che posa un oggetto di gran pregio su un sottile ripiano di cristallo (ma contemporaneamente dicendo all'essere che sta mimando, cioè a me: è un posacenere di plastica, coglione). Ridiamo tutti, diversamente. Arriviamo ad Abbiategrasso, lui scende tra due ali di popolo, io procedo da solo per questo cazzo di museo. 

 

 


Altre puntate:

 

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