White Christmas

24 novembre 2009
Alessandro Portelli
White Christmas in Padania

"il Manifesto" 24.11.2009

E’ proprio vero che siamo un paese di poeti santi e navigatori. Solo
in un paese di geni assoluti poteva essere concepita l’idea, scaturita
dalla fervida immaginazione di un paese del bresciano, di lanciare di
qui a Natale una campagna di pulizia etnica e chiamarla “White
Christmas.” La trovo un’idea entusiasmante. In primo luogo, perché
spazza via tutte le menzogne mielate di quando ci raccontavano che a
Natale siamo tutti più buoni: prendere spunto dal Natale per diventare
più cattivi, e farlo in nome delle nostre radici cristiane mi pare
un’operazione liberatoria di verità assolutamente ammirevole. Altro
che cultura laica.
Qualche anno fa, quando il mio quartiere scese in piazza per impedire
il trasferimento in zona di qualche famiglia rom, una compagna disse:
“Non è razzismo, è cattiveria.” Scrissi allora, e mi ripeto: non
distinguerei fra le due cose (il razzismo è cattiveria), ma trovo
giusta questa parola, “cattiveria”, così elementare da essere caduta
in disuso, perché qui è proprio l’elementarmente umano che sta in
gioco. D’altra parte, un esimio leghista ministro della repubblica
aveva già proclamato che bisognava essere cattivi con gli esseri umani
non autorizzati. Disciplinatamente, fior di istituzioni democratiche
eseguono: sbattono fuori dalle baracche i rom a via Rubattino a Milano
e al Casilino a Roma e i marocchini braccianti in Campania, incitano i
probi cittadini dei villaggi lombardi a denunciare i vicini senza
documenti, premiano con civica medaglia intitolata a Sant’Ambrogio gli
sgherri addetti ai rastrellamenti dei senza diritti. Fini dice che
sono stronzi: no, non sono solo stronzi, sono malvagi.
Su un piano più leggero, trovo altrettanto geniale è proclamare che
l’operazione si fa in nome dell’ incontaminata cultura lombarda e
bresciana – e chiamarla con un nome inglese, per di più orecchiato da
una canzone e un film americano. Non si potrebbe trovare un modo
migliore per prendere in giro tutta la mitologia lombarda delle radici
e della purezza culturale. Non è solo una bella presa in giro di
quelli che mettono nomi lumbard sui cartelli all’ingresso dei paesi.
Ma è anche un modo per ricordarci che non esiste cultura più paesana,
più subalterna e più provinciale di quella che finge un cosmopolitismo
d’accatto.
E infine, la trovata dell’inglese è una spietata denuncia
dell’ipocrisia razzista. Dire “bianco Natale” significava mettere
troppo in evidenza il colore della pelle, perciò lo diciamo con una
strizzata d’occhio –dire le cose in inglese, non solo in questo caso
ma più in generale ormai, significa dirle ma non dirle, è la nuova
forma della semantica dell’eufemismo. E poi, “Christmas” invece di
Natale: e hanno ragione, il nostro tradizionale Natale è sempre più
sovrastato dall’americano Christmas, lasciamo perdere il misticismo e
corriamo a fare shopping.
Aveva proprio ragione la mia amica appalachiana che diceva, “noi
poveri di montagna non sognavamo un bianco Natale. Se nevicava, era
più che altro un incubo.” Io non so che Natale sognino i senza
documenti del bresciano, dopo questo bell’esempio di cristianesimo. La
cosa che immagino è che, cacciati dal villaggio, gli stranieri
sbattuti fuori di casa andranno a dormire in una stalla e faranno
nascere i loro clandestini bambini in qualche mangiatoia.

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